domenica 18 dicembre 2011

Auguri di Natale: ditelo con un fiore


Quando ho iniziato a lavorare il vetro a lume snobbavo i fiori in favore di motivi più geometrici e rigorosi. Guarda caso lo stesso è successo con i cuori, che fino a poco tempo fa mi facevano orrore. Senza dubbio l'età che avanza, ma anche la mia - modestamente - aumentata perizia al cannello mi hanno fatto ricredere. Quando valuto un oggetto d'artigianato non riesco a non interrogarmi sul modo in cui è stato costruito, e questo vuol dire che a un certo punto i fiori hanno smesso di essere un motivo eccessivamente femminile e po' kitsch per diventare una sfida sul piano tecnico. Come cavolo si fa a creare l'illusione della profondità nel vetro, come si fa a creare fiori tridimensionali verosimili sospesi in uno strato di vetro appena disturbato dalle bollicine?



Ovviamente, ho iniziato a provare, ed ecco i risultati delle mie sperimentazioni da autodidatta. Si tratta di alternare colori trasparenti e opachi a strati di vetro incolore, ma detto così suona un po' troppo facile. Serve una buona dose di controllo della quantità di calore, perché il fattore chiave qui è riuscire a fondere lo strato superficiale trasparente fino ad arrotondarlo senza far muovere i fiori sottostanti, che altrimenti verrebbero deformati o sbavati.

Ad ogni buon conto ho deciso di approfondire questa tecnica ulteriormente con un interessantissimo tutorial di Corina Tettinger il "Daffodil Bead Tutorial" ovvero come intrappolare i narcisi nel vetro.

Quindi questa volta lo dico con un fiore, anzi con più di uno: BUONE FESTE!!!

sabato 26 novembre 2011

L'ultima ossessione, gli anelli in vetro


Come chi mi segue su facebook avrà avuto modo di vedere, da qualche tempo mi cimento nella costruzione di anelli in vetro. Sottolineo la parola costruzione, perché la procedura per fare gli anelli si discosta parecchio della classica maniera di fare le perle a lume. Si sa che le variabili da controllare quando si lavora il vetro incandescente con la fiamma di un cannello sono principalmente due, temperatura e gravità, e che controllando queste il vetro caldo tende spontaneamente alla rotondità. Ora invece per fare gli anelli su un ago di grosso diametro (in realtà un cilindretto metallico in fondo a un ago grosso) queste regole vengono infrante perché, dopo aver fatto la base dell'anello non si cerca la rotondità, si cerca invece di costruire una superficie ovale regolare che possa ospitare la decorazione. Questo effetto si ottiene posizionando gocce di vetro e spostandole poi con qualche attrezzo fino a trovare la forma desiderata. Molto più semplice a dirsi che a farsi.


Una volta costruita la tavolozza il trucco sta nell'applicare la decorazione senza far raffreddare né riscaldare bruscamente tutto l'anello. Spesso quando ci si dilunga troppo si finisce col sentire un piccolo "crack", l'indizio di una frattura che va sanata immediatamente per quanto possibile, scaldando il punto fino a fonderlo completamente.



Il più delle volte però non vale la pena di continuare a questo punto, perché non sempre la frattura guarisce fino in fondo e perché l'anello a quel punto si deforma irreversibilmente. Almeno io a quel punto preferisco buttare via il tentativo. Magari altri sanno come rimediare, ma qui io sono purtroppo completamente autodidatta e questo problema non l'ho risolto. Corina Tettinger fa degli anelli bellissimi ed ha annunciato un tutorial che ancora non ha visto la luce. Fino ad allora, non mi resta che continuare a fare tentativi.



L'ago su cui viene colato il vetro ha un'importanza notevole. Ce ne sono di due tipi diversi: massicci e cavi. Quelli massicci sono più pesanti e faticosi da usare, e proprio perché sono pesanti sono solitamente più corti di quelli cavi, che consentono invece di fare anelli più grandi e importanti. Quelli cavi sono quelli venduti negli UK da Tuffnell e sono i miei preferiti.



Mi sarebbe piaciuto molto favi vedere qualche anello indossato ma purtroppo, si sa, le ceramiste non hanno mani da modella.

lunedì 21 novembre 2011

Le tazze a tre piedi modello Pierantozzi

Ovvero cosa succede quando ci si prova a seguire le istruzioni del DVD "What if? Explorations with Texture and Soft Slabs" di Sandi Pierantozzi. Ogni anno all'appuntamento di Scomigo cerco di presentare qualcosa di nuovo.  L'anno scorso avevo costruito delle scatole texturate in refrattario. Quest'anno - non avendo avuto altre idee brillanti - ho deciso di provare a costruire delle tazze con il metodo di Sandi Pierantozzi di cui ho già riferito. Ho portato della terra rossa piuttosto umida, una serie di timbri a rullo da me creati e un paio di rettangoli di cartoncino da usare come dime per le lastre e ho cercato di costruire delle tazze.


Modello Giuditta n.1 
Il primo tentativo è stato piuttosto deludente. Prevedendo di dover espandere il volume dall'interno ho usato uno spessore di lastra eccessivo (8mm) e il tazzone è diventato pesantissimo e troppo grande. Il manico poi, rullato e inciso è decisamente eccessivo. Una tazza per pesi massimi.










Modello Giuditta n. 2
Già più proporzionata. Ho usato  lastra meno lunga e di spessore ridotto, cioè un diametro minore, ma il manico è ancora eccessivo.














Modello Giuditta n 3
Più piccola, ma proprio con il manico non ci siamo. Soprattutto quando provo ad attaccarlo non in corrispondenza del piede ma tra due piedi, cosa che comporta un equilibrio precario e un problema statico. La tazza tende a sbandare per il peso del manico, che si appoggia ed evita che cada del tutto, ma immaginate che fine farebbe il liquido contenuto nella sbandata... Bocciata.










Modello Giuditta n 4
Non male come forma, anche se un po' storta.
I manici rullati di Sandi non vanno bene per me.
Poi però mi viene in mente che questi manici sono presentati come una scorciatoia per chi non li sa fare tirati. Considerando che io ci ho impiegato anni a imparare a fare i manici tirati, mi è sembrato il caso di tentare a incrociare le due tecniche. Quindi, questo l'ho tirato, poi arricciato e attaccato... tra due piedi... Anche questo perciò è ribaltabile, staticamente controverso.









Modello Giuditta n 5: punto di arrivo
Ecco che quindi arriviamo alla soluzione del problema, per approssimazioni successive (o come rende meglio in inglese "by trial and error").
Manico tirato e modificato, attaccato alla base del piede, dove però va modellato per accompagnare la forma.
Soddisfatta del risultato al punto tentare la possibilità di riprodurne un'altra uguale. Risultato: una coppia di tazze da caffè.






Morale della favola
Quando si implementano le tecniche altrui non è sempre una passeggiata. Data la quantità di variabili in gioco -  tipo di terra, spessore della lastra, profondità del disegno in rilievo e conseguente possibilità di espandere dall'interno, forma e attacco del manico - anche le tecniche che sembrano più ovvie possono presentare delle complessità. E poi è sempre così quando l'insegnante è così bravo da fare sembrare tutto semplice.  E' al momento di mettere in pratica gli insegnamenti che saltano fuori le difficoltà.
La strada indicata da Sandi non è proprio congegnale per me, ma ci ricavo comunque un paio di spunti da utilizzare a modo mio: 1. la possibilità di costruire volumi con forme magari non ricavate a lastra ma a tornio 2. La possibilità di modificare i volumi dall'interno per non intaccare il disegno della superficie. 3. Più in generale, la possibilità di prendere spunto da tecniche non necessariamente affini alla mia produzione, spostandole in ambiti diversi. Non è poi questa la differenza tra copiare e interpretare??

sabato 5 novembre 2011

What if? La costruzione a mano di Sandi Pierantozzi

What if? Explorations with Texture and Soft Slabs è il titolo del DVD, per la verità un cofanetto di due DVD, di Sandi Pierantozzi. Conoscevo già l'estroso lavoro di Sandi, presentato in una quantità di testi sacri della ceramica, specialmente in quelli specializzati nella lavorazione manuale, ovvero "Handbuilding".


Ossessionata dal tornio come sono, mi aveva molto incuriosito l'entusiasmo per Sandi dei ceramisti conosciuti due anni fa a San Diego, California. Alcuni di loro di fatto avevano messo da parte il tornio per sperimentare con le lastre, dopo aver seguito un seminario tenuto da lei presso la Clay Artists of San Diego. Sandi lavora con l'argilla allo stadio morbido, imprimendo forme con stampi di recupero, stampi commerciali ed altri autocostruiti.



Di stampi commerciali ce ne sono in grande quantità, ma tutto sommato sono poco interessanti, non mi piace l'idea di ritrovare i motivi della mia ceramica nel lavoro altrui. Quelli di recupero sono reti, corde, tappetini, cartoncini in rilievo e qualsiasi cosa imprima una traccia sufficientemente definita , con l'accorgimento - quando si usano stampi in plastica - di  cospargere  la superficie della lastra con dell'amido di mais perché non ci si incollino. A me però interessano molto di più gli stampi autocostruiti perché possono personalizzare ulteriormente l'oggetto fatto a mano, ma questo capitolo ha bisogno di uno sviluppo troppo complesso per questo post: ne riferirò in altra occasione.


A partire dalla lastra morbida impressa Sandi costruisce volumi, cilindri e coni prevalentemente con l'aiuto di modelli in cartoncino che si ricavano con semplicità. Questi volumi vengono poi deformati ed espansi dall'interno per ottenere forme più belle senza sbavare il rilievo. Questi volumi di base possono essere poi combinati per ricavare oggetti complessi, vasi, teiere, ciotole.
Il percorso con cui Sandi accompagna l'allievo alla scoperta del suo metodo è estremamente comprensibile (ovviamente per chi capisce l'inglese) e lungo la strada vengono condivisi molti piccoli segreti del mestiere, come quello dell'amido di mais di cui sopra per esempio.
Ad ogni passo Sandi opera delle scelte di gusto e di metodo, sempre sottolineando che vale la pena di chiedersi "What if???": Cosa succederebbe se si decidesse di fare diversamente? Non c'è un modo giusto e un modo sbagliato di fare le cose, purché funzioni.
Le opere di Sandi in bassa temperatura sono buffe e a momenti barocche, e rivelano chiaramente quanto lei ci si diverta a crearle. Un altro motivo per cui Sandi Pierantozzi mi sta simpatica: anche lei fa le perle a lume!!!!!!!!!!

giovedì 29 settembre 2011

Autunno alle porte, con un bonus tecnologico


La mia vite canadese inizia seriamente a rosseggiare, calzini e magliette della salute a breve ricominceranno a riempire la mia lavatrice. Autunneggia, e da queste parti in "montagna" è impossibile ignorare il ritmo delle stagioni. Non mi lamento, un luminoso e calduccio settembre ci ha ampiamente ricompensati dell'estate parzialmente mancata. Fatto stà che è di nuovo ottobre e ancora una volta - bontà loro -    i Piccoli Ceramisti mi hanno invitata a giocare pubblicamente con l'argilla in quel piacevolissimo borgo trevigiano di Scomigo nell'ambito della manifestazione "Laboratorio di Ceramica nel Borgo". Una domenica mattina da trascorrere tra "colleghi" giunti da ogni dove, e un pomeriggio di dimostrazione in cui io mi guarderò bene dal competere con gli straordinari e forzuti tornianti che ogni anno vi partecipano. Gioco forza, quindi, la mia dimostrazione non riguarderà il lavoro a tornio, croce e delizia della mia produzione principale, ma la lavorazione manuale a lastra. Quest'anno non  farò oggetti quadrati, scatole e dintorni, come l'anno scorso, ma recipienti, tazze, forse anche brocche, "texturati" e modificati, prendendo spunto dal lavoro di Sandi Pierantozzi. In questo modo finalmente metterò in pratica alcune delle tecniche imparate dal suo "Explorations with Texture and Soft Slabs", e sarò prossimamente in grado di farvene una recensione illustrata. Come si dice, due piccioni con una fava.



A questo proposito mi è venuto in mente di rivelare pubblicamente un segreto di Pulcinella che ha sorpreso alcuni spettatori alla manifestazione dell'anno scorso. In quell'occasione, come ho accennato, ho costruito delle scatole rettangolari stampando disegni con oggetti e timbri, e servendomi di un attrezzo per tagliare gli angoli delle lastre a 45°, in modo da avere angoli perfetti. Ecco a voi questo gioiello della tecnologia.


Un filo metallico posizionato ad angolo, che trascinato a contatto con la lastra, incide e rimuove uno spigolo lasciando un angolo perfetto.


Ora, per procurarvi questo marchingegno avete due alternative:
1. ordinarlo online in qualche negozio specializzato per la modica cifra di 12 dollari (18 se dotato all'altra estremità di aghi/chiodini per graffiare l'argilla al momento del collegamento dei pezzi)
2. procurarvi un legnetto o spezzoncino di tavoletta, rimuoverne un quadratino con un seghetto e attaccarvi un pezzo di corda metallica da chitarra/filo sottile di metallo tramite due chiodini o puntine da disegno.
Per ottenere angoli diversi da 45° basta tagliare via un rettangolo anziché un quadrato. Calcolatevi da soli il risultato.

Se poi volete il modello "deluxe cut-and-score", piantate sul lato opposto 4 chiodini e tagliategliene le teste con una tenaglia.
Il modo d'uso è immediato. Basta appoggiare lo strumento sulla superficie di lavoro a ridosso della lastra e trascinare senza sollevare dal tavolo

Adoro la tecnologia.
Buon lavoro e buone lastre, e se siete dalle parti di Treviso non vi perdete la manifestazione di domenica!!! Io porterò una selezione di ceramiche d'uso, un po' di bijoux, e molta voglia di giocare con l'argilla.

lunedì 19 settembre 2011

Il ritorno del guerriero (stanco)


Quest'estate ho scoperto l'acqua calda: si fa fatica a essere creativi quando si è stanchi. E se ci si ostina a fare nonostante la carenza di idee (ispirazione?) si finisce mortificati dalla propria mancanza di creatività, e ovviamente, ancora più stanchi. Questo meccanismo innesca poi un circolo vizioso per interrompere il quale è indispensabile fare una sola cosa: fermarsi. Solo smettendo di fare si dà la possibilità ai neuroni di purificarsi nell'ozio. Ora, come ben sanno quelli che mi conoscono di persona, io di ozio non me ne intendo molto. Per di più essendo un'iperattiva maniaca del controllo per me non è per niente semplice smettere
In termini concreti, quest'estate ho prodotto poche cose in ceramica degne di essere conservate, ed eccole qui.






Un'idea interessante è questo condominio per piante grasse che ho copiato da una casa di Capoliveri. Un pannello con delle tasche da riempire di terra in cui mettere piantine molto resistenti e caparbie, che si accontentano di poco. L'originale visto all'Elba era fatto in cemento e coppi. Io l'ho adattato alle dimensioni del mio forno e alla terra che volevo usare (un pacco di terra di Impruneta che dovevo finire). L'ho decorato premendo lime, cacciaviti e attrezzi vari che normalmente si trovano sul mio banco da lavoro (perche in realtà è il banco da falegname di mio padre) e poi l'ho pennellato con del rame rosso. Il risultato è piacevole, ma sarà sicuramente meglio quando le piantine ne avranno preso possesso.

martedì 5 luglio 2011

Consuntivi e meritate ferie

Recentemente ho deciso di prendermi una pausa dall'artigianato. Mi sono ripromessa di sospendere completamente i giochi con l'argilla e il vetro per tutto il mese di luglio. Troppe corse per approntare le ceramiche, e l'insoddisfazione di non riuscire prendermi il tempo necessario per pensare le cose fino in fondo. La mia ricerca e il mio aprendistato in materia di ceramica e vetro procedono per approssimazioni successive, ossia sbagliando e correggendo il tiro. Se non c'è il tempo per metabolizzare i risultati, individuare i problemi e trovare le soluzioni, la ricerca non avanza. Per di più la mia ceramica ha tempi piuttosto lunghi, tra la foggiatura e le due cotture possono passare anche dei mesi, e bisogna stare concentrati per non perdere il filo del discorso. Ho già delle idee da sviluppare, ma per il momento voglio lasciare che germoglino da sole, possibilmente mentre mi arrostisco su qualche spiaggia.

La mostra dell'artigianato Città di Feltre è andata bene. Per la prima volta ho intrattenuto il pubblico con la dimostrazione della lavorazione a lume delle perle e nel frattempo ci ho anche intrattenuto me stessa.



Non essendo portata per gli aspetti commerciali dell'impresa, gli anni scorsi mi ero annoiata al punto da tirar fuori la chitarra e mettermi a strimpellare per la disperazione. Ovviamente la fiamma e il vetro incandescente hanno catalizzato l'attenzione dei passanti: ho tenuto un mini corso, ho stregato più di un bambino e inoltre ho prodotto una significativa quantità di perle sulle quali potrò meditare durante le ferie.

 

giovedì 23 giugno 2011

I carciofi sono in fiore / Artichokes in bloom

La fine di giugno si avvicina pericolosamente e ormai siamo a ridosso del grande evento annuale, la Mostra dell'artigianato artistico Città di Feltre, che aprirà i battenti giovedì 30 giugno e si protrarrà per tutto il fine settimana.
Quest'anno non sono molto tranquilla. Troppe cose che si accavallano, vicende lavorative complicate e poco tempo, anche perché quest'anno ho giocato molto con il vetro e questo sarebbe già di per sé un'altra arte, che per il momento non mi va di mettere da parte. Dalle mie parti (a Buenos Aires) si dice "el que mucho abarca poco aprieta", chi vuole prendere troppo stringe poco, ed è proprio così che mi sento. Ho fatto troppe cose, speriamo di essere all'altezza.
Ad ogni modo, per coloro che sono curiosi di vedere che fine hanno fatto i miei carciofi, ecco qualche foto. In realtà sono tre scodelle rosse e due gialle, che possono essere abbinate in modi diversi. Carciofi in fiore fuori stagione...

Siete tutti invitati alla Mostra, ci saranno le mie ceramiche a bassa temperatura (carciofi compresi), alcuni nuovi pezzi Raku, e ci sarò io con il mio bobcat (il cannello), per far vedere come si fanno le perle a lume.
Sarò come al solito, in Piazza Maggiore. Se avete occasione di passare, e vi vedrò con piacere.

mercoledì 15 giugno 2011

L'artigianato e le pratiche "green" /One man's rubbish is another man's treasure

Se la figura dell'artigiano è un totale anacronismo nella società dei consumi, le pratiche legate al buon vecchio artigianato e al rispetto dei materiali assumono paradossalmente grande attualità in un mondo che finalmente ha preso coscienza del fatto che le risorse non sono illimitate. Se poi alla vocazione per l'artigianato si aggiunge una discendenza da stirpi di montanari che hanno conosciuto fame, guerre e carestie, e da una famiglia di emigranti "con la valigia di cartone", non ci si deve stupire se ogni volta che vado all'ecocentro per disporre correttamente dei materiali, ritorno con oggetti dismessi per i quali intravvedo una nuova vita. Tale è il caso del tavolino del mio salotto, apparentemente ottone stampato (ma chi lo può dire), riabilitato con un vetro fumée recuperato dallo stesso fornitore.
In laboratorio d'altronde sono innumerevoli le buone pratiche che non solo evitano lo sperpero di materie prime, ma contribuiscono a tenere le sostanze chimiche utilizzate - smalti, ossidi ecc.- sotto controllo.
L'argilla finché cruda va sempre recuperata, e a questo proposito ci sono molte teorie. Io utilizzo vari secchielli - quelli dello yogurt da 1kg di cui ho ampie scorte - per contenere l'acqua che si utilizza come lubrificante sul tornio e che progressivamente si sporca di argilla e diventa sempre più densa. Il secchiello con l'argilla più densa va lasciato decantare fino a poter spostare la melma su un catino di gesso (coperto da un telo di cotone) che assorbirà l'acqua e consentirà di ottenere un impasto lavorabile da rimettere nel ciclo produttivo, con l'accorgimento di sbatterlo perbene per evitare di trovarci successivamente bolle d'aria.
Per lo smalto vale la stessa regola. E anche in questo caso sono utilissimi i miei secchielli da yogurt in cui lavo le spugne con cui pulisco i versamenti di smalto e sciacquo contenitori e attrezzi che ne vengono a contatto. Lo smalto recuperato va filtrato per rimuovere le impurità - specialmente i pezzettini di spugna - ed è subito riutilizzabile. Il risultato è il mio smalto "monster" dalle caratteristiche non proprio certe, solitamente un blu variegato ma ovviamente variabile che può sempre essere utilizzato, anche a sorpresa, senza test preventivi, per ricoprire l'interno poco visibile di vasetti e bottiglie.
Quanto agli altri materiali da laboratorio, per i secchi oltre che al supermercato (nel caso dello yogurt) mi rifornisco dal gelataio locale che butta via i contenitori da 5g di panna, eccellenti per ogni uso e indispensabili per rallentare l'asciugatura dell'argilla e contenere smalto. Per gli scaffali invece ho la fortuna di avere un amico che abita davanti al supermercato del paese e mi avverte quando ci sono delle opportunità: ho una serie di espositori a griglia plastificata gentilmente offerti dai produttori di patatine. Ma gli scaffali più utili in assoluto sono senz'altro le cassette in plastica dell'uva, leggere, impilabili, facili da spostare e da utilizzare in ogni fase di lavorazione della ceramica, nonché per il trasporto degli oggetti finiti verso i rari mercatini a cui partecipo. Gli esempi potrebbero continuare, ma la conclusione è che nell'artigianato sono molte le opportunità di riuso, purché si abbia fantasia e si sia disposti a usare olio di gomito. Infatti ciò che per qualcuno è rifiuto per qualcun'altro può essere un tesoro:  "one man's rubbish is another man's treasure".

In foto qualche oggetto finito con sullo sfondo alcuni miei fidi secchielli dello yogurt.

domenica 29 maggio 2011

Operazione carciofo /The Artichoke Operation

Non tutte le ciambelle riescono con il buco, ma non è detto che tutte le ciambelle senza buco siano da buttare. La più frequente causa di moria degli oggetti crudi è l'inettitudine, la mia per inciso, e ci sono certe giornate...
Ieri stavo modificando la superficie di una ciotola grande sulla torniella, avendo stupidamente  lasciato un vasetto monofiore ancora crudo (quello che in inglese chiamano bud vase "vaso da bocciolo") troppo vicino al mio raggio d'azione, con il risultato che il vasetto è precipitato verso una nuova vita possibile, ovvero sul pavimento. Dopo aver santiato ripetutamente l'ho semplicemente rimesso a bagno.
Altro caso penoso, all'unico gatto di questa stagione (qualche anno fa facevo un sacco di gatti raku) è toccata una sorte simile, avendo miseramente perso la coda al momento di essere caricato in forno. Cosa fare a questo punto se non respirare profondamente e pensare filosoficamente che questo sport non è adatto ai deboli di cuore...



Poi l'altro giorno mi sono ribellata. Stavo appoggiando una ciotola rovesciata sul tornio per ritornire la base - operazione che dà la forma definitiva all'oggetto - e contemporaneamente cercavo col piede destro il pedale del mio Shimpo. Mai cercare di fare troppe cose in contemporanea! E soprattutto mai riposizionare il pedale con il tornio acceso. A questo punto sono intervenute due aggravanti: 1 - il mio vecchio tornio (quello su cui ho imparato a tornire) ha il pedale fisso, per cui il mio piede non è abituato a questi rischi e
2 - secondo le istruzioni del fornitore dello Shimpo avevo precedentemente svitato il dado per evitare quel noioso scattino iniziale che probabilmente avrebbe salvato la mia ciotola.


Cos'è successo? Il piede ha trovato sì il pedale, ma anziché spostarlo lateralmente nella posizione d'uso, l'ha schiacchiato fino in fondo causando l'improvvisa rotazione del tornio e la rovinosa corsa della ciotola contro il paraspruzzi e contro le teste dei bulloni che servono a fissare i piatti da tornio. E questa volta ho, come da manuale, nell'ordine: santiato, respirato profondamente, filosoficamente pensato che la ciotola stava per ritornare nel "tutto"... ma poi mi si è accesa una lampadina. Visto che la forma non era compromessa e che la durezza dell'argilla era ancora manipolabile, perché non tentare di risolvere i bordi in altro modo?? Ecco a voi quindi il risultato "serendipitoso" dell'incidente, che è stato poi volontariamente ripetuto per ottenere una serie di recipienti concentrici con i lati a petali che danno all'insieme quell'aspetto "a carciofo" a cui accennavo nel titolo. Non ho idea a che possa servire, ma lo trovo abbastanza aggraziato. Faccio sempre a tempo a distruggerlo al momento di caricarlo in forno...


Qui ci sarebbe lo spazio per la versione inglese di questo post. Ma siccome non mi risulta che nessuno mi stia leggendo in inglese, ho deciso di scioperare.  

domenica 8 maggio 2011

Il fascino della terra cruda / The appeal of greenware

Mi sono sempre chiesta per quale motivo trovo più entusiasmanti gli oggetti in corso di lavorazione degli oggetti finiti. La terra foggiata ma ancora cruda è piuttosto inutile, ma esprime appieno il fascino della ceramica, cioè la materializzazione di un'idea non ancora compiuta e perciò al massimo delle sue potenzialità. E' un po' come un sogno che inizia a prendere corpo, non è più solo un concetto astratto e sfuggente. Ha una sostanza, anche se perfettibile, che proprio perché perfettibile contiene il seme della massima bellezza. Ovviamente in quanto ancora cruda la forma è ancora reversibile, ed ecco che sempre più spesso - sto diventando esigente - l'oggetto tornito non supera il giudizio dell'autore e finisce nel secchio dell'argilla da recuperare, di ritorno allo stato di pura materia informe.  L'oggetto cotto e smaltato invece è ancora è scarsamente passibile di modifiche (al massimo si può ricuocere lo smalto o fare un terzo fuoco, entrambe pratiche estreme ed antieconomiche per quanto mi riguarda), è perciò finito nel senso di non più infinito, cioè privo di possibilità di ulteriori sviluppi, privo di futuribilità. So di star sconfinando nel filosofico, ma il fascino dell'incompiuto è un parametro guida della mia immaginazione. I momenti più esaltanti della mia vita sono sempre stati quelli in cui ho prefigurato scenari che sarebbero stati successivamente smentiti dalla realtà del vissuto. Infatti, raramente l'esperienza è all'altezza dell'immaginazione e forse è questa la chiave del fascino che l'argilla informe esercita su di me. Può essere ogni cosa, o quasi, al punto di dare un senso di smarrimento o di imbarazzo, ma una volta avviata verso la forma l'argilla a me dà un senso di progettualità molto più soddisfacente del risultato finale stesso. In foto due delle mie eterne ossessioni: foglie e spirali attualmente in corso di lavorazione.


I've always wondered why I find unfired pots far more interesting than actual finished ware. Greenware is pretty useless in practical terms, but it represents ceramics at its most fascinating. It embodies an unfinished idea, therefore it embodies a full spectrum of possibilities. It's like a dream that's just beginning to become true, not just an abstract, fleeting thought. It is substance and yet it is perfectible, which means that it still holds potential for beauty. On the other hand, of course, being unfired, greenware can still be reversed into pure material and end up in the clay reclaiming bucket, something that is actually the more common as I become the more demanding.  Finished ware is still liable to be altered by a third fire - which actually does not fall within my habits - but it is finished, or rather no longer infinite, no longer capable of developing. I know this is becoming philosophical - bear with me if you can - but beginnings have always been the backbone of my imagination. The most exciting moments of my life were those in which I was imagining scenarios that life would later prove wrong. As a matter of fact, very rarely experience measures up to immagination: maybe this is the reason why I am so seduced by formless clay. It can be anything, or almost anything, to the point of inspiring dismay or embarrassment, and yet as soon as it becomes form clay gives me a sense of purpose that I find a lot more rewarding than the final result.  In the pictures two old obsessions of mine, leaves and spirals on pots currently in process.



giovedì 7 aprile 2011

Primavera all'improvviso / Suddenly it's spring

Orbene qui i problemi sono più di uno (altrimenti sarebbe il problema). Nell'angolo di mondo nel quale trascorro, spesso malvolentieri, la maggior parte dell'esistenza, la "bella stagione" - quella in cui si possono tenere le finestre aperte, le mani a bagno nell'argilla e in cui c'è abbastanza luce da stimolare il metabolismo -  dura solitamente tre mesi, quattro in annate memorabili. Il fatto che in queste ultime settimane abbiamo prematuramente temperature massime di 25 gradi e sole a volontà non solo destabilizza, ma per certi versi stressa e preoccupa.
Di motivi per stressarsi ne posso citare vari. Uno è l'erba - quella cosa verde che cresce dove non è desiderata e stenta a crescere nei luoghi in cui la si semina - la quale inizia già a richiedere cure e tagli senza i quali la pace in famiglia potrebbe essere messa a repentaglio. Altro motivo di stress di ordine domestico è che il sole mette in evidenza tutte le manutenzioni da fare (imbiancature, verniciature e così via) le quali in una casa vecchia come la mia sono all'ordine del giorno. Oggi per esempio, ho visto ahimè, il primo mucchietto di segatura da tarlo del soffitto, cosa che solitamente avviene in giugno.
Ovviamente nessuna delle mie attività invernali diminuisce, né il lavoro che paga le bollette (alla faccia della recessione), né quelle di silviapotter (leggi ceramica e vetro), anche perché l'unica mostra a cui partecipo, la Mostra dell'Artigianato Città di Feltre, che si tiene a fine giugno, vorrebbe che la nuova produzione fosse già in corso.
In altre parole io vivo in un luogo in cui il clima è un ottimo alibi per sognare di fare cose, senza sentirsi in colpa per non riuscire a farle, perché - si sa - è brutto tempo, fa freddo, è così grigio che non viene voglia di  mettere fuori il naso. Immaginate la fregatura di una primavera anticipata come questa.
Ok, adesso ho deciso di farmi un piacere. Anziché continuare a lagnarmi, ho deciso che mi siederò a fare per iscritto l'elenco delle cose da fare in ordine di priorità, poi aprirò la finestra, uscirò sul poggiolo, respirerò l'aria fresca della mattina, guarderò per trenta secondi il verde degli alberi del vicino, e sarò grata per questa anteprima di primavera che riscalda il cuore.
In foto "Miss Mao", ovvero qualcuno che è veramente contento che sia primavera, sullo sfondo dell'erba che cresce. Per citare Adrian Monk, "It's a gift, and a curse" (un dono e una maledizione).


Sorry folks if anybody would like to read this post in English. It's spring all of a sudden and I really, really do not feel like I want one more translation to do. It's just blah blah blah anyway.

domenica 27 marzo 2011

Di impollinazione incrociata ed altri fenomeni/Cross impollination and other phenomena

Quando ho iniziato a fare piccoli oggetti in ceramica da usare come monili ero convinta di volere vedere che uso se ne sarebbe fatto fino in fondo. Non volevo cederli prima che si fossero trasformati in orecchini, collane o altro. E quindi mi sono attrezzata per costruire gioielli, ho imparato da zero a lavorare il filo metallico, ho scoperto che esistono componenti dai nomi per lo più incomprensibili ai non addetti: schiaccini, monachelle ed altre voci il cui significato e utilizzo ho dovuto cercare in rete. Ed anche qui la world wide web stupisce per la quantità di risorse. In altre parole, ho imparato a costruire bijoux.

Poi il vetro è entrato di prepotenza nella mia vita e man mano che imparavo a fare le perle a lume il numero di oggettini in attesa di destinazione aumentava. La questione è semplice. Per imparare bisogna fare esperimenti, "provare a fare", e il risultato dei tentativi, la maggior parte delle volte perfettibile, si accumula. Per fortuna le perle ci stanno in una scatola. Con la ceramica è stata più dura. Durante gli anni in cui imparavo a lavorare l'argilla ho saturato l'intorno familiare di tentativi gradualmente sempre meglio riusciti di tazze, brocche ed altro. E quando nell'espressione dei riceventi ho iniziato a leggere regolarmente un malcelato disappunto (ancora ceramica ?), ho deciso di comprare degli scaffali in cui tenere la mia prole. Ed ho iniziato a vendere ceramica.


Le mie perle hanno fatto lo stesso percorso, con la differenza che, trattandosi di componenti, posso cederle e poi stare a guardare che cosa diventano. Lasciando andare i miei piccoli figli di vetro e ceramica e posso vederli crescere in altre mani, posso entrare nel processo creativo di altri e posso ricevere in cambio degli ottimi spunti per i miei nuovi sviluppi, un pò come succede per le piante, per impollinazione incrociata.

Ecco cosa ha fatto Alessia, di Beads and Tricks con il gusto e la perizia che la contraddistinguono, con le perline di Silviabeader (she pots, she beads).




When I started to make clay beads I thought I wanted to follow the process through, and see what they finally became, whether earrings, or a necklace. I was too jealous to give some of the process away. The fun part was learning how to handle metal and use pliers, a chasing hammer, and learn the meaning of words I had no previous knowledge about: split rings, bead caps and what not. As usual the web was my teacher, and I learnt how to make jewels.

Then glass came along . Teaching myself how to lampwork involved producing a number of beads I could really not see the purpose of, because that's the way I learn, by trial and error. My bead box so grew fuller and fuller with idle little things whose only function in existence was to make me learn.   It was a process I had gone through before. In my early years as a potter the only way to learn was to make,and the results I lavishly gave away to family and friends. Until one day I started to read disappointment in the eyes of the receivers (Oh, let it not be clay again!!). Then I bought a shelving system and started to sell pots. 

It was the same thing with my beads, other than they are not finished products, so I can give them away and wait to see what they become. In other words I can interfere with someone else's creative process and let the feedback influence my work, by a phenomenon similar to cross-impollination. 

So here is where I wanted to get. I'm proud to show what became of my clay beads in the hands of  Alessia, of Beads and Tricks. My beads, her taste and skill.