martedì 27 marzo 2012

Epidemia di orecchini

Questa serie è iniziata sulla spinta di un desiderio primaverile di colore. Nell'ultimo periodo avevo privilegiato i colori trasparenti agli opachi. L'idea era quella di favorire quel senso di profondità che viene con l'uso dei trasparenti. Poi con questa primavera anticipata (che prima o poi finiremo col chiamare semplicemente "primavera", visto che ormai ogni anno arriva in anticipo) mi è esplosa una voglia di chiasso visivo e di contrasti che fosse all'altezza della luce di questi giorni soleggiati. Quindi sono andata al vivaio, ho piantato viole di tutti i colori in ogni possibile angolo del mio microscopico giardino e poi ho rispolverato tutte le bacchette di colori opachi. Ed ecco cosa ne è venuto fuori. Un'autentica epidemia di orecchini, il mio gingillo di elezione, quello senza il quale mi sento totalmente ignuda.


Questi orecchini rappresentano un cambiamento di prospettiva: le perle sono viste dal lato del foro sullo sfondo di un disco di metallo (per la cronaca tagliato e martellato a mano), al quale sono fissate con dei chiodini smaltati (l'ultima diavoleria del mio cannello). 


Rame e alluminio specialmente, ma anche ottone e le relative combinazioni. In altre parole, oltre all'occasionale perlina metallica di complemento, qui si parte dalle bacchette di vetro, dal filo e dalla lastra metallica. Il resto è solo lavoro manuale.



All'inizio l'idea era di accostare colori nel modo più naif possibile, ma poi ovviamente mi ci sono annoiata ed ho iniziato a fare qualcosa di più complesso, delle stelle a 6 braccia con il vetro manipolato e trascinato verso il centro.



Ce ne sono di due tipi, corti con la monachella agganciata direttamente sul disco di metallo, e un po più lunghi
con la monachella agganciata a un anellino.


 Adesso ci voglio fare un girocollo in rame e alluminio, ma prima devo imparare a saldare il rame. Impara l'arte e mettila da parte!!


domenica 4 marzo 2012

Domenica mattina a Sausalito ovvero di rockstars, artisti e filosofi




Sausalito è oltre il Golden Gate Bridge, di fronte alla città di San Francisco. Mooooolto Northern California, con la sua aria di benessere casual e i suoi mercati del biologico. Un centro turistico/commerciale in cui mi fermerei unicamente per fare due foto dello skyline di SF tra le brume, se non fosse che il nome Sausalito mi rispolvera qualche ricordo sopito. Ancora adesso non riesco a chiarire a me stessa quando o dove avrei visto le immagini che mi hanno fatto scribacchiare quell'appunto mentale: "la prossima volta in Nor Ca andare a Sausalito". Fatto sta che nel fantomatico filmato dei miei ricordi si parlava di una comunità di artigiani/artisti e bohémien ancorati - fuor di metafora - in un villaggio di case galleggianti sulle rive della Baia di San Francisco. Per una hippy nata con quindici anni di ritardo come me l'attrazione è irrinunciabile. Snobbato perciò il centro turistico che è valso a Sausalito la sua fama di "Portofino d'America", trascorro un'oretta a scandagliare la costa in cerca di qualcosa che assomigli a un agglomerato di houseboats.

Finalmente avvisto Waldo Point Harbour. Borghetto di case galleggianti senza dubbio, ma nulla che indichi la presenza di artigiani o bohémien. A dire il vero nessuna presenza umana in una soleggiata domenica mattina d'inverno, ad eccezione di tre visitatori, uno dei quali sembra essere un habitué impegnato ad illustrare le vicende del posto agli altri due. Ecco la persona a cui chiedere. Peter Kraemer mi spiega che il luogo è quello, ma che sono arrivata con una trentina d'anni di ritardo: il porticciolo ha cambiato mani ed è ora un agiato quartiere di professionisti. Chiacchierando con i suoi ospiti vengo a sapere che Peter Kraemer - lead singer e saxofonista della band psichedelica degli anni '70 "Sopwith Camel", ora rockstar in pensione - ha conosciuto i tempi mitici di Waldo Point. Ospite dell'artista Jean Varda e del filosofo Allan Watts, Peter ha vissuto a bordo del Ferry Vallejo, un traghetto dismesso diventato un centro d'attrazione per gli originali della Baia di San Francisco. Negli anni sessanta il Vallejo era IL ritrovo. Jean Varda,  pittore greco/francese poi diventato celebre per i suoi collage, nonché zio della regista Agnes Varda che gli dedicò il cortometraggio "Uncle Yanko", e Alan Watts, filosofo  Zen, al tempo vivevano a bordo del traghetto, e con loro giovani, artisti e intellettuali ispirati dall'aria di cambiamento.

Di Jean Varda dice Anaïs Nin in A Woman Speaks:
Da lui ho imparato l'arte di creare dal nulla. L'ho imparato da Varda, che costruiva collage a partire da pezzetti di stoffa...Varda inoltre recuperava materiali dismessi; fece una bellissima barca a vela greca con pezzi recuperati da altre barche. E' questa capacità di creare dal nulla ciò che dobbiamo ricostruire in noi stessi...l'essere in grado di creare qualcosa a partire dall'argilla, dal vetro, da scampoli di materiali, da oggetti di recupero, a partire da qualsiasi cosa, è la prova della creatività dell'uomo e della magia dell'arte.  



In una tiepida mattina di gennaio ho visitato un luogo, o piuttosto un tempo.
Mi rimane il dubbio di aver sognato o preso in prestito il ricordo di un borgo galleggiante popolato da artigiani, artisti e pensatori, una patria, il luogo a cui avrei voluto appartenere se non fossi arrivata in ritardo.  

Bonus track:  The Sopwith Camel, The Great Morpheus, Postcard from Jamaica.