lunedì 26 aprile 2010

Di geni e di riciclo

Si lo so, questo è un blog sulla ceramica, eppure senza tradire l'argomento, vale la pena di considerare due argomenti che alla ceramica sono collegati solo marginalmente, ma che stanno alla base di qualsiasi attività artigianale: i geni e il riciclo, due entità inestricabilmente collegate. La passione per la ceramica deriva dalla necessità di produrre oggetti con le mani, di trovare soddisfazione nel lavoro manuale.
Ebbene, io ho ereditato il gene operoso sia da mia madre (“mai stare con le mani in mano”) che da mio padre (falegname e inventore), il che significa che dispongo di un intero corredo genetico operoso. Sarà per questo che quando vado alla ferramenta mi comporto come un bambino in un negozio di giocattoli?? Sarà per questo che l'unico ricordo che ho di essere andata in profumeria è di quando sono andata a comprare un profumo per la festa della mamma? Certe volte quasi riesco a comprendere perché le donne “normali” mi guardino con un misto di ammirazione e di compatimento. Le mie mani non sono quelle di una mondina ma certo non sarebbero candidate per uno spot di materassi (avete presente quelli in cui le signorine accarezzano con mani affusolate ed espressione rapita il famoso tessuto losangato lato invernale?).
Sono una sostenitrice del “fatto a mano” perché ogni cosa fatta a mano trasmette un pezzettino d’anima. Sono inoltre impermeabile al culto del marchio, perché e i processi industriali sono la negazione dell’anima. Nella mia limitata esperienza di mercatini (ne ho fatti 3 in 10 anni) mi sorprende sempre la ricorrente indifferenza femminile rispetto all’artigianato, soprattutto quando si tratta di ceramica funzionale (Non ha un marchio, fosse anche Tupperware, non ce lo voglio nella mia cucina). Sono rare le eccezioni, mentre i maschi, generalmente non interessati alla stoviglieria, hanno il piacere di osservare “come” gli oggetti sono fatti per capirne il processo. Ecco, qui darei soddisfazione al mio papà che voleva che il suo secondogenito fosse un maschio: a me interessa capire “come” le cose sono fatte. Il mio taccuino mentale è zeppo di cose che vorrei provare a fare con una quantità di materiali, stoffa, carta, legno, ferro, vetro, ceramica. Ed è per questo che sono in grado di spendere ragguardevoli quantità di denaro per acquistare
non i prodotti finiti, ma i materiali e gli attrezzi con cui realizzarli (o almeno tentare di farlo). Ma la massima libidine dove la trovo? Quando non devo acquistare le materie prime e l'attrezzatura e posso applicare i miei geni (ed ecco che torniamo all’argomento di partenza) al riuso di materiali di fortuna, riciclare scarti e scampoli avanzati per ottenere qualcosa di utile e bello. E qui la rete mi viene incontro, perché il riciclo è di grande moda, e ci sono quantità di siti che ti insegnano a costruire scatoline e perline con la carta usata, mini serre con le lampadine bruciate e una quantità di altre idee. Ci sono quantità di mostre ed eventi dedicati al riciclo di materiali, come per esempio le collane di bottoni di Chiara Trentin, recentemente balzata alla notorietà in questo settore.
Ecco, questa lunghissima digressione solo per dire che di recente ho preso in mano il mio taccuino delle esperienze da fare e mi sto divertendo un mondo con il vetro, i metalli e l'argilla, con i quali sto costruendo collane e orecchini come quelli che vedete in foto. Nei prossimi post magari lo spiego nel dettaglio.

domenica 25 aprile 2010

San Diego e Lana Wilson


Questo è il resoconto, per la verità alquanto tardivo, di un evento epocale: il mio primo corso di ceramica. Quasi dieci anni di sperimentazioni, letture e di navigazione in solitaria nelle insondabili acque dell'arte mi ci sono voluti prima di questo momento. Laboratorio di tecniche costruttive con Lana Wilson, apprezzata e pubblicatissima artista residente nella zona di San Diego, per l'appunto la sede del corso. Mi sono davvero sentita come al mio primo giorno di scuola, arrivando con la mia biciclettina e il pranzo al sacco. Lana è un turbine, un'affabulatrice. Mentre dimostra con una generosità che non mi aspettavo tutti i trucchi delle sue vecchie e nuove tecniche Lana racconta storie ed episodi della sua vita di insegnante e del suo passato. Tra questi lo scetticismo della sua famiglia d'origine rispetto alla sua carriera di artista, in particolare i candidi commenti di sua madre, il giudice più severo per la ceramica funzionale: una casalinga. Lana ha fatto la production potter e l'insegnante per molti anni prima di convertirsi alla costruzione manuale. Abbandonando il tornio ha anche rotto i ponti con i vincoli funzionali e si è dedicata esclusivamente alla sua idea di bellezza applicata all'argilla. Un approccio in cui la spontaneità non scende a compromessi e si esprime in piena libertà grazie alla padronanza del mezzo acquisita in una vita di disciplina. Uno stile vagamente barocco un po' contro corrente, ma estremamente comunicativo, pieno di simboli e rimandi a una religiosità molto new age, molto californiana per l'appunto. Le tecniche illustrate sono state essenzialmente la lavorazione a lastra morbida con impressioni di ogni genere, timbri, oggetti casuali, incisioni e la sovrapposizione di engobi colorati con la quale mi sto divertendo, con esiti alterni, da quando sono tornata. Ha costruito davanti a noi scatole, teiere, e piatti e complessi oggetti articolati con porte e cassetti. I partecipanti al corso erano di tutte le età, dal ragazzino all'ottantenne, con l'ovvia e solita prevalenza femminile, ma molti tra i presenti erano in realtà ceramisti di professione che non si sono fatti mancare l'occasione di imparare un gioco nuovo, perché è la dimensione ludica e spontanea la dominante nel lavoro di Lana. Nemmeno a me mancherà materiale per giocare per un bel po'.